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Biennale di Venezia 2017

Sono fermo a guardare finte pietre attaccate a un soffitto, in un angolo penzolano scampoli di stoffe colorate da un muro. C’è gente che entra ed esce da un padiglione buio dove si intravvedono bagliori accecanti di luci al laser che accendono fotografie. Ho già visto tanta carta accartocciata in un angolo, altra appesa, un uomo che spazza polvere sopra un pannello luminoso, della ghiaia imprigionata in un grigliato metallico. E poi gocce schiacciate su di un pavimento, telai di cubi di legno ammucchiati, il percorso di un Cristo dalla croce alla putrefazione accompagnato da odori nauseabondi. E’ questa l’espressione massima dell’arte che racconta il nostro tempo! sono alla Biennale di Venezia 2017. E sono qui anche con la mia di arte, che come me chiede qualche spiegazione o verità, perché lo sappiamo si che l’arte non parla a tutti, ma in queste forme astruse e contemporanee, sempre più spesso non ci riconosciamo, e restiamo perplessi cercando d’intuire il filo che scinde il concettuale dal mestiere o dall’inganno, l’interessante dal fuorviante, la sostanza dalla nullità. Chiudo un attimo gli occhi e mi rivedo bambino, con tutto il mio mondo nel cuore e senza parole per dirlo, tutti i colori dei campi, i profumi, la gente di terra. Terra che non ha mai tradito e ancora sopporta. Era stato normale rubare il ramato e colorare il vecchio muro, provare il colore dei pollini, del succo di sambuco, del mallo, dello zolfo, fino a portare tutto man mano, sopra le tele. Fino a raccontare le dolcezze che vivevo, la sincerità che ascoltavo, l’armonia respirata. Sono così diventati racconti i miei quadri, racconti di terra e di cielo, di aria e di acqua, di gente e di vita. Terra che mi emoziona ancora ogni volta che mi passa di mano, perché sa di sudore e fatica, di grano e di vigna. Nessuno ci pensa ma noi siamo come il grano e la vigna, l’aroma del tempo. Raccontano di noi nelle metafore dei segni, negli spazi delle masse, nel dolore dei graffi, nelle armonie degli equilibri , nella grezza parola degli impasti e dei colori. Raccontano la bellezza dei sentimenti, le strade piene di sassi, gli smarrimenti, i valori sopiti, i ricordi lasciati, questo tempo del forse. Questo è il mio mondo pittorico, il mio modo di vedere l’arte e la vita! Tutte e due delicate e materiche, povere ma ricche, soffici e forti, sincere, pulite, misteriose. Chiunque ci troverà qualcosa che lo accomuna, che lo rappresenta, che parla sottovoce, che lo invita discretamente a cercare, a scoprire, pensare. Lo troverà perché leggerà la mia anima di uomo, la mia catarsi. In un viaggio che ogni volta offre qualcosa non visto e rilascia poco a poco il messaggio di un contadino che sa zappare ancora e leggere la poesia degli alberi, che ascolta il vento e la sua pace dentro. Che sa di essere come l’erba che vive nel muro, e vorrebbe tanto lasciare questa serenità interiore dove e a chi di tutto quanto detto ha perso il significato.

Biennale Venezia vernissage finale all'A
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