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PERSONALE DI GIANCARLO FRISONI

GALLERIA FARINI CONCEPT

Nel 2018 si è tenuta presso la Galleria Farini Concept a Palazzo Fantuzzi il vernissage della mostra personale di Giancarlo Frisoni, presentato dalla Dott.ssa Roberta Frabetti.

L’artista romagnolo, nato a Montescudo (RN), inizia la sua attività artistica sin dalla tenera età, dedicandosi in primo luogo alla ritrattistica per poi approdare nella sperimentazione contemporanea.


Attratto dall’inusuale e dal particolare, la sua ricerca artistica si basa su materiali singolari come la terra e la polvere di gesso, miscelati con pigmenti naturali che divengono immagine del potente legame tra la stratificazione del mondo e quella della sua anima.

Nella sua carriera è stato protagonista di varie mostre personali in Italia fino ad arrivare a partecipare con la Repubblica di San Marino, nel 2015 e nel 2017, alla 56esima ed alla 57esima Biennale di Venezia nel padiglione della Cina. Ha presenziato in Galleria Farini con una retrospettiva con le sue opere principali.

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GIANCARLO FRISONI dalla Biennale a Bologna Concept

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La pittura poetica di Giancarlo Frisoni
di Azzurra Immediato


"Dipingere è bisogno di comunicare quello che a parole mi è più difficile.
Così la materia, le masse, i segni, i colori, i graffi, altro non sono che sensazioni, pensie
ri, emozioni, che finiscono sulla tela.
Per questo ogni volta che espongo un quadro, lo faccio con molto pudore, con una sorta di vergogna quasi, perché mostro qualcosa di me così intimo, che a fondo neanche io conosco e riesco a spiegare.
La mia parte più nuda, quella più vera, quella meno razionale che si avvicina allo spirito."
In punta di piedi si presenta l’artista romagnolo Giancarlo Frisoni, con la meraviglia negli occhi e tanto da raccontare, come accade ai bimbi curiosi del mondo, insaziabili ed ingenuamente avidi di conoscenza, di nuove storie, di nuove emozioni. È questo lo spirito che ha, da principio, animato colui che oggi conosciamo come pittore ma che è anche fotografo, scrittore e poeta. Una poliedricità che, nell’infanzia, ha significato mettersi in gioco in una solitaria quotidianità rurale, quel borgo di Valliano (Montescudo – Rn) che i suoi compagni avevano abbandonato, con le famiglie, per la città. Mentre il mare della costa riminese urlava i fasti del nuovo progresso e del boom economico degli anni Sessanta, il piccolo Giancarlo si addentrava nei misteri della sua terra, tra le stradine del suo paese, nelle campagne che lo circondano, e di queste narrava, in maniera semplice eppur già complessa, in modo meditativo, in un certo qual senso.
La fascinazione è stata l’elemento principe nella formazione autodidatta del Frisoni il quale ha scelto la terra come maestra, la natura come mito cui tendere e con cui entrare in comunione, per dar vita ad una dimensione onirica, surreale, simbolica, una sorta di street art ante litteram, attraverso la quale i vecchi muri scrostati si trasformavano in supporto per accogliere lo sguardo di un bambino, la traduzione di uno stravolgimento del reale che era fatto di sintesi, di sublimazione e amore per il colore.
“È venuto naturale rubare il ramato per colorare i cieli dei miei disegni, lo guardavo sempre sul muro dietro la vite del portico quant’era bello il turchino!Ma non mi bastava, volevo i colori di tutta la terra, e strisciavo foglie d’olmo e di malva sul muro fin quando lasciavano il verde, dai papaveri rubavo il rosso, dai pollini il giallo, il viola dal vino. […] Guardavo le cose ed il paesaggio per capire e imparare quel che non sapevo.
Il piccolo Giancarlo è cresciuto e gli anni Ottanta hanno segnato il punto di svolta, quelli in cui Egli ha iniziato a far conoscere il proprio lavoro ed a mostrarsi come artista, in maniera eclettica, attraverso la narrativa, la poesia, la fotografia e la pittura. Un sentire diffuso che esprimeva la sua volontà di farsi testimone di una dimensione, quella contadina e dell’entroterra romagnolo, misconosciuta ai più, della quale, tuttavia, Egli si fa ancor oggi latore, approfondito conoscitore. Gli anni Duemila lo scoprono in veste di vero e proprio
testimonial anche attraverso le proprie pubblicazioni, le mostre fotografiche, in particolare in occasione dell’Expo del 2015 a Milano, in rappresentanza della Repubblica di San Marino e alla 57ima Biennale di Venezia. Si susseguono i premi ed i riconoscimenti, così come le molteplici attività che, a tutto tondo, impegnano il Frisoni come artista.
Il 2018 si conferma un anno ricco, che procede con la mostra personale a Bologna, nel rinascimentale Palazzo Fantuzzi, sede della Galleria Farini Concept, a pochi passi dalle Due Torri e dal centro nevralgico della città.
Una esposizione che permetterà di sostare lungo il percorso pittorico dell’artista romagnolo, la cui acutezza non risiede nel realismo mimetico della trattazione del mondo quanto, però, nella sua traduzione concettuale. Il distacco dalla concezione di mimesis, invero, il Frisoni l’ha fatto proprio modus operandi sin da quando, nella dimensione straordinaria di quello che spesso chiamo ‘gioco serio dell’arte’, modulava, trasformava il già noto con ciò che aveva, con quello che l’interazione tra natura ed uomo gli permetteva di
utilizzare e far proprio. Si parla di ‘pittura poetica’ nonostante il dipingere di Frisoni non sia narrazione figurativa o descrizione tematica, da intendersi, invece, secondo i dettami e le istanze di una poesia ermetica, celata dietro simbolismi spesso non del tutto riconoscibili ma in grado di esprimere, in maniera peculiare, la profondità di una meditazione soggettiva altrimenti non visibile. Ecco, dunque, che Giancarlo Frisoni poetizza l’imago, ne scarnifica il dato oggettivo per far sì che essa divenga costrutto di una spinta interiore, soggiogata dalla materia allorquando questa si fa unica forma traduttiva di un sentire che dalla materia medesima giunge, con essa dialoga, in un rapporto che è filosofico ed esistenziale e che, solo ex poetica analisi del mondo, si aggroviglia al tema ed alla matrice delle suggestioni, un certo grado di illusorietà non può – e non deve – mancare, dato che essa si anima in forza di quel legame tra l’immaginario d’infanzia di Giancarlo Frisoni bimbo e quello di Giancarlo Frisoni uomo ed artista.
È in tale mescolanza, in tale paradosso metaforico che si ritrova, in tutta la sua ampiezza, la ‘pittura poetica’ dell’artista, la densità intrinseca di un sentire profondo che è fatto di materia e di evocazione, di reale ed immaginario, di una cosmogonia che mette radici in una duplice e contrapposta dimensione, senza scegliere mai davvero l’una o l’altra, bensì in una armoniosa ed equilibrata convivenza delle due. “Essere reale è essere il valore di una variabile vincolante”, asseriva Quine, in maniera maliziosa; nella fessura ‘variabile’ si
inserisce l’arte di Frisoni. In tale dicotomia del concetto stesso di rappresentazione e raffigurazione, Frisoni si fa reazionario, sceglie con cura le immagini interiori da raccontare e lo fa in maniera tale da renderle luogo universale, abitabile, ex post, da chiunque abbia la volontà di avvicinarvisi.
Tale avvicinamento è come un abbraccio, lungo, capace di coprire le distanze che intercorrono tra l’artista ed i tanti spettatori. L’annullamento di tali distanze, che nella realtà esistono, nel mondo dell’astrazione perdono di importanza e lasciano spazio alle analogie, di sentimento, di emozione, di poesia intesa quale dimensione dell’anima. Ogni tratto pittorico è come un verso scritto, ad ogni segno corrisponde, idealmente un lemma, l’unione di questi due elementi, che si anima nell’emblema metaforico, è il punctum delle opere qui in oggetto. Non c’è spazio per la finzione, in tale operare; in un simile lavorìo il Frisoni ha messo tutto sé stesso, senza alcuna barriera. Ha lasciato cadere i muri comunicativi per lasciar spazio al muro quale spazio pittorico e di dialogo.
L’astrazione è dunque, sinonimo di forma mentis, nella traduzione e nella traslazione su un supporto legato alla tradizione dei luoghi vissuti e conosciuti da Giancarlo Frisoni che, con queste parole, chiosa la sua intera ricerca e con le quali, personalmente, vi invito a leggere i suoi ‘dipinti in foggia di poesia, o viceversa’.
“Racconto di me nelle metafore dei segni, negli spazi, nel dolore dei graffi, negli equilibri delle armonie, nelle parole degli impasti e dei colori. Racconto la bellezza dei sentimenti, le strade della vita piene di sassi, gli smarrimenti, i ricordi in questo tempo del forse. Questo è il mio modo di vedere e vivere l'arte e la vita.”

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